Dimensioni: Altezza 66.5cm
Materiale: Marmo di Carrara
Siamo al proemio della terza cantica. Dante si rivolge ad Apollo e ne invoca l’ispirazione.
« Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsia traesti
de la vagina de le membra sue. »
Il satiro Marsia, “Tritoniaca harundine victum”, sopraffatto da Apollo nel suono del flauto, dopo avere osato innalzarsi al divino con smisurata hybris, viene punito: “Quid me mihi detrahis, perché strappi me a me stesso?”. E’ lo strazio infinito, è l’urlo espressionistico (il “clamanti” del verso 386) dell’uomo-fauno al quale “a fior delle membra fu strappata la pelle”. Direpta cutis. Grand Guignol dell’orrore: vulnus (ferita), cruor (sangue), nervi, venae, salientia viscera (viscere palpitanti) e perlucentes fibras. Orrore disperso metonimicamente di verso in verso, e, viceversa, concentrato da Dante nel sublime “traesti de la vagina de le membra sue”.
Marsia viene svaginato, tolto dal fodero della pelle, sdoppiato, strappato appunto a se stesso. “Et Satyri fratres et tunc quoque carus Olympus et nymphae flerunt”: un grande pianto cosmico, che coinvolge anche l’Olimpo e che, nell’imprevedibile teatro della Metamorfosi, si trasforma nell’acqua di un fiume.
Ermanno Morosi
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